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Questione di etica

Questione di etica

Non è solo questione di sicurezza, antivirus, annessi e connessi, attacchi e difese. Non lasciamoci suggestionare dalla cyberwar: non è più fantascienza, tantomeno fantasy. E’, invece, palpitante scacchiere geopolitico. Siamo mani e piedi dentro un universo digitale dove i buoni e i cattivi non sono più così riconoscibili. E quindi il punto, semplicemente, è: proteggere il concept umano della tecnologia; le scelte a monte dei sistemi digitali: i risultati a valle di queste decisioni.

Intervista di Enzo Argante a Marco Ramilli

Esperto internazionale di sicurezza informatica, imprenditore, scrittore e pirata informatico. Ramilli ha conseguito il PhD in Information Communication Technology presso l’ Università di Bologna e si è unito all’Università della California a Davis . Durante il suo dottorato di ricerca ha lavorato per il governo degli Stati Uniti dove ha svolto ricerche approfondite sulle tecniche di evasione del malware e sulle metodologie di test di penetrazione al fine di migliorare il voto elettronico negli Stati Unitisistemi.  Nel 2015 fonda Yoroi: un innovativo Managed Cyber ​​Security Service Provider che sviluppa uno dei più incredibili centri di difesa informatica che mai sperimentato. Oggi Ramilli guida alcuni dei più talentuosi hacker etici con una missione unica: difendere l’organizzazione privata e pubblica sullo spazio digitale.

La tecnologia è a-territoriale e priva di cultura? Ecco le regole del ‘ buon vivere digitale’ secondo Marco Ramilli founder di Yoroi

Nell’era digitale Sicurezza è diventata parola chiave. Al di là del significato acquisito nel comparto industriale e dei servizi e in un sistema guidato dai dati, il concetto si è espanso in linea orizzontale e adesso definisce nuove dimensioni. Le macchine e gli umani si relazionano in maniera stabile in un rapporto sempre più evoluto e articolato. Da un lato il sistema beneficia di ‘assistenza’ impensabile e forse inaccessibile agli umani (basti pensare alla potenza di calcolo) dall’altra abilità e attività rischiose per gli umani e destabilizzanti per i sistemi. Il digitale è disruptive per definizione è quindi necessario interrogarsi, studiare e progettare per elaborare sistemi di sicurezza che tengano conto dei nuovi territori da esplorare.

Cybersecurity non è un di cui dell’universo digitale, dunque. E’ l’infrastruttura a cui è demandata la protezione, per molti aspetti la definizione stessa, di etica del digitale.

“Essendo la tecnologia estremamente correlata al ‘vivere bene’ – spiega Marco Ramilli – è naturale considerarla direttamente associata all’etica, in quanto scienza dello studio del vivere bene. Tuttavia non è possibile aspettarsi dalla tecnologia un comportamento etico proprio perché essa non ha la capacità di crearsi né ha la percezione dei limiti imposti dalla cultura e dal ‘buon vivere’. Anche il miglior sistema di deep-learning (intelligenza artificiale), prima di poter essere avviato, necessita di una fase iniziale di allenamento che influenza radicalmente le sue decisioni. Proprio per questo motivo non è possibile considerare la tecnologia come eticamente neutrale in quanto dipende notevolmente dal suo allenator’”. 

Paese (sistemi di potere) che vai, AI che trovi, ovviamente. Con tutto quello che ne consegue ancora una volta in termini di interpretazione del concetto di etica.

“La tecnologia aumenta radicalmente la velocità d’informazione come anche il suo fattore di scala ed è a-territoriale, quindi priva di cultura. Questi punti rappresentano un cambiamento al contorno che ne sfigura l’originalità influenzando problemi etici su larga scala. Prendiamo ad esempio la possibilità di intercettare le decisioni di politici, di organizzazioni e di privati cittadini semplicemente attraverso piattaforme tecnologiche di partecipazione (Facebook, Twitter e YouTube); oppure la capacità di un numero ristretto di organizzazioni di possedere informazioni specifiche su ognuno di noi e sfruttarle a fini socio-economico. Infine: proviamo a pensare ad enti governativi che possedendo tali informazioni possono usufruire di ‘intelligence avanzata’ avvantaggiando decisioni strategiche economiche e geo-politiche”.  

E’ così. Ed è decisivo avere un’idea precisa di che cosa e chi deve sovrintendere e come questo privilegio debba essere protetto. Una chiave di lettura originale per la cybersecurity che non è solo difesa ma struttura portante dell’etica digitale.

“Considerando che le tecnologie controllano sistemi complessi (nucleari, navali, clinici, infrastrutture strategiche in generale) e che possono subire attacchi informatici modificandone il comportamento, è evidente come la cybersecurity sia profondamente legata a tematiche di natura etica. Per questo è necessario considerarla elemento centrale. Uno dei problemi etici più noti inerenti la cybersecurity – ad esempio – è quello riguardante la privacy. Ottenere informazioni di natura personale può abilitare un attaccante ad effettuare impersonificazione, ossia la capacità da parte dell’attaccante di sostituirsi digitalmente alla vittima, avviando false transazioni e/o manipolando conversazioni. Inoltre tale problema etico potrebbe abilitare l’attaccante in estorsioni e/o ricatti verso la vittima”. 

C’è consapevolezza di questa centralità etica? E di conseguenza: ci stiamo lavorando adeguatamente sia a livello pubblico che – soprattutto – privato?

E’ importante considerare queste problematiche prioritarie per un’impresa. Il nostro reale non è più singolarmente proiettato al mondo fisico, ma è diventato un’unione tra il mondo fisico (dove ci nutriamo, dove respiriamo, dove camminiamo) e quello digitale (dove impariamo, dove condividiamo, dove comunichiamo). Di conseguenza il ‘buon vivere’ di oggi non è più come all’epoca di Socrate un ‘buon vivere’ affine al rapporto fisico, ma dipende fortemente da quello digitae. La cybersecurity è un elemento fondamentale per garantirlo. Per questo è’ necessario includere tale disciplina in un nuovo framework etico indipendente dallo spazio, dalla cultura e al contempo rispettoso dell’essere umano e consapevole che la tecnologia non può essere eticamente neutra”.  

Occhi (e dati) aperti.