Anche le Forze dell'ordine italiane ricorrono al sistema di riconoscimento facciale, senza, però, un processo pubblico di regolamentazione.
La redazione
Nel 2018 il Garante Privacy ha approvato Sari, un software che permette alla polizia scientifica di confrontare l’immagine di una persona con i volti contenuti all’interno del database Afis (Automated Fingerprint Identification System), il cui archivio è gestito dal ministero dell’Interno ed è composto da foto segnaletiche di persone di cui sono state acquisite le impronte digitali e che hanno commesso reati in Italia oppure migranti irregolari, chiunque debba rinnovare o convertire il permesso di soggiorno. Il software funziona nel momento in cui nel database Afis ci sono volti uguali e/o somiglianti a quello che si sta cercando.
Il primo punto da sottolineare è che il funzionamento alla base di Sari non è chiaro nè ai cittadini nè agli operatori che utilizzano il sistema.
In secondo luogo, si dovrebbe chiarire quando è possibile utilizzare questo sistema. Secondo l’interpretazione del Garante Privacy e secondo quanto affermato dalla Direzione centrale anticrimine della Polizia di Stato (Servizio Polizia Scientifica), Sari viene usato nelle «attività investigative tipiche» della polizia giudiziaria, in particolare nell’identificazione delle persone sottoposte a indagini.
L'approfondimento della vicenda è a cura di IrpiMedia e StraLi – associazione non profit che promuove la tutela dei diritti attraverso il sistema giudiziario