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Israele-Palestina: fallimento dell'Intelligence?

Sabato 7 ottobre un attacco senza precedenti di Hamas, e ancora in corso, ha preso alla sprovvista l’intelligence e l’esercito israeliano. Andrea Muratore, analista geopolitico, fa il punto della situazione

Un fallimento senza precedenti non si può definire in altro modo quanto successo nella giornata di sabato 7 ottobre, ma anche quanto ha portato Israele a subire lo shock del più grave attacco sul suo territorio nazionale dai tempi della guerra dello Yom Kippur, di cui, per una tragica ironia del destino, proprio alla vigilia dell'attacco di Hamas si celebrava il cinquantesimo anniversario.

Sul banco degli imputati Shin Bet, il Servizio segreto delegato alla sicurezza interna, e il Mossad, che ha la delega alle operazioni estere dello stato ebraico. Shin Bet e Mossad non sono stati in grado di prevedere un'offensiva condotta con tecniche innovative e un misto tra incursioni militari, lanci di missili e pratiche terroristiche come la presa di ostaggi e gli attacchi discriminati e civili che hanno colpito duramente il territori israeliano, provocando una conta dei morti durissima. Siamo a 600 solo stando alle statistiche che le autorità israeliane hanno pubblicato nella giornata di domenica 8 ottobre.

Questo pone diverse considerazioni securitarie che si impongono anche in un momento in cui il tema fondamentale è capire l'entità dei danni che sono stati prodotti in Israele e quelli che seguiranno a Gaza con la dura e indiscriminata risposta del governo di Benjamin Netanyahu. La radice dell'operazione che ha scioccato Israele è, come successo 50 anni fa con la guerra dello Yom Kippur, un fallimento dell'intelligence e un fallimento securitario legato tanto alla sottovalutazione degli avversari, quanto alla difficoltà di prevedere scenari sulla base di logici e ben strutturati flussi informativi. Shin Bet e Mossad alla prova dei fatti perdono e assieme a loro perde il Governo di Netanyahu, che si dimostra incapace di garantire la sicurezza collettiva di fronte a uno shock inaspettato. Perde il ministro alla Sicurezza Nazionale Ben Gvir, tanto solerte nella repressione del dissenso palestinese, quanto poco attento alla gestione delle frontiere sguarnite, delle forme di controllo delle incursioni di massa perché, sostanzialmente, si blocca il ciclo informativo.

Shin Bet e Mossad non sono stati in grado di capire la gerarchia delle problematiche securitarie per Tel Aviv, sottovalutando i messaggi che provenivano dalla striscia di Gaza, proprio perché focalizzati sul nemico lontano, cioè l'Iran. La forma strutturata di rivalità tra Shin Bet e Mossad, nata con il ritorno al potere di Netanyahu a fine 2022, si può ascrivere allo scenario dettato dai cosiddetti accordi di Abramo e, per almeno tre motivazioni, questo è alla base degli errori di valutazione fatti dalle agenzie e dal Governo, che ora cerca di trovare riscatto con una vittoria militare che, però, non rende meno gravi i deficit politici venutisi a a creare con l'operazione Ajax di Hamas.

In primo luogo, abbiamo un'interpretazione errata delle conseguenze politiche che una gestione della politica estera israeliana e di intelligence basata sugli accordi di Abramo avrebbe avuto da parte di Shin Bet e Mossad. Negli ultimi mesi Mossad ha focalizzato principalmente l’attenzione sugli accordi di Abramo, principalmente sulla necessità di creare un fronte comune volto ad anestetizzare la problematica iraniana, a creare un fronte di contenimento nei confronti di Teheran, ritenuta la principale minaccia securitaria nazionale. lo Shin Bet ha invece interpretato in forma più estensiva gli accordi di Abramo unicamente per assecondare la volontà politica di Netanyahu di minimizzare le critiche dal mondo arabo per la gestione degli insediamenti palestinesi, che è sempre stato il principale focus politico dall'inizio del Governo. Il nazionalismo di Ben Gvir e degli altri ministri, unitamente alla destra religiosa di sionismo più tradizionale, ha come collante la svolta securitaria contro i palestinesi del Likud, il partito di Netanyahu formalmente di centro-destra.

In primo luogo, si tratta di una simmetria sull'uso della politica estera per fini interni: sicurezza nazionale per il Mossad, attenzione a una questione palestinese diversa da quella principale per lo Shin Bet, da cui è derivato un secondo fronte fondamentale, una rivalità per il controllo delle dinamiche della sicurezza che ha prodotto il blocco di ogni scambio informativo.

In secondo luogo, Shin Bet e Mossad, da quello che è emerso, non hanno saputo collaborare e quindi, probabilmente, non sono stati in grado di cogliere i segnali che provenivano dalla striscia di Gaza per preparare un'offensiva che Hamas ha lanciato usando armi sostanzialmente rudimentali, ma tecniche molto attive, alcune mutuate addirittura delle incursioni mordi e fuggi dei commandos ucraini contro la Russia, l'uso dei droni, l'infiltrazione di piccole unità e così via. Nessuno sapeva che Hamas aveva raggiunto una maturità militare tale da poter fare buon uso dei pur limitati mezzi che ha in confronto alle forze armate israeliane.

In terzo luogo, Mossad e Shin Bet non hanno capito la natura politica della mossa di Hamas prima e dopo l'escalation di tensioni che ha preceduto l'aggressione di sabato 7 ottobre. Israele ha costruito la sede degli accordi di Abramo, che sono finiti nella bufera per il riallineamento arabo pro Palestina dopo l'attacco di Hamas, unicamente pro domo sua, ovvero si pensava che gli accordi avrebbero valorizzato la sicurezza nazionale israeliana, senza  guardare alle conseguenze per le dinamiche regionali. In quest'ottica, la mossa di Hamas è stata politicamente la più semplice: colpire una maniera talmente dura da dare scacco a entrambe le cordate che lavoravano al potenziamento degli accordi, la cui convergenza sarebbe stata nel totale depotenziamento dei residui sostegni politici di cui Hamas gode nel mondo mediorientale, perché i vari regimi arabi che sono accordati con Israele  hanno taciuto totalmente sulla questione palestinese. Mossad e Shin Bet hanno, quindi, faticato a capire la complessità sia delle minacce securitarie che delle conseguenze politiche a causa di una gerarchia errata delle percepite minacce al sistema paese Israele.

In primo luogo, era visto solo l'Iran e nient'altro che l'Iran per il programma nucleare, per il senso di revanescismo dopo la rottura con gli Stati Uniti, era anche un'atavica percezione di rivalità da parte della destra israeliana. In secondo luogo, Hezbollah che si, ha colpito poco dopo il lancio degli attacchi da parte di Hamas, ma si trova in una situazione molto delicata in cui non può permettersi un'offensiva frontale contro Israele e, solo in terzo luogo, i miliziani spinti sia dalla forza del fanatismo politico che della disperazione percepita nella striscia di Gaza, che di fatto li rende padroni incontrastati di un territorio. Quindi, il buco securitario è stato legato al flop della comprensione delle dinamiche che i militanti avrebbero potuto produrre con la loro mossa e in una sorta di rivalità politica centrata sulla gestione degli accordi di Abramo volta, o ad assecondare nel caso Shin Bet, o a interpretare in maniera disinvolta propria, caso di Mossad, delle linee politiche non chiare, totalmente rivolte su una politica interna divisionista e fondata su pregiudizi e sostanzialmente inadatta a pensare la complessità in toto.

Ma è solo un errore di Israele? Niente affatto. Anche gli Stati Uniti, ad esempio, nel loro sostegno a Tel Aviv hanno focalizzato l'attenzione unicamente sulla questione iraniana, sottolineando poi il fatto che le crisi securitarie che si stavano chiudendo presupponevano un Medio Oriente di ritorno alla sostanziale normalità. Non è invecchiata bene la profezia di una decina di giorni fa del segretario del consiglio di sicurezza nazionale USA, Jake Sullivan, che diceva che non aveva mai visto in vent'anni il Medio Oriente così calmo. Anche in questo caso si tratta di un flop della raccolta informativa, con errori di comprensione e, soprattutto, di valutazione del fatto che anche gruppi ritenuti ottusamente ideologizzati come Hamas possano imparare dalle lezioni della storia e del presente. Questo è un grave errore da parte degli apparati di sicurezza legato al percepire come immutabili le minacce e, dunque, a pensare non al nemico di domani, ma al nemico di ieri. Si pensava ad Hamas come al sostanziale gruppo radicale che aveva ormai accettato la minorità verso Israele, guardando piuttosto ad altre e ben più strutturate minacce.

Molto spesso accade che il più grande successo del diavolo è convincere il mondo del fatto che non esiste. Mutatis mutandis, potremmo così citare la minaccia di Hamas alla sicurezza nazionale israeliana. Non capire Hamas ha prodotto il disastro del 7 ottobre, un disastro da cui, a prescindere dalla fine di questa guerra già tragica, in cui Netanyahu ha alle spalle l'intera popolazione israeliana, com'è naturale che sia quando un paese è sotto attacco, potrà essere messa severamente sotto giudizio la condotta degli apparati e della governance politica dello stato ebraico.