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IL GENERALE EDITORIALISTA

Dalla Folgore alla Brigata Sassari passando dallo Stato Maggiore della Difesa fino ai Comandi di Corpo d’Armata della Nato, alle missioni internazionali dell’ONU. Manilo Scopigno, generale di divisione e membro del centro studi dell’Esercito Italiano è uno dei più autorevoli videoeditorialisti di 000. Ci parlerà di geopolitica e anche dell’impatto delle tecnologie sulle azioni militari terrestri.

Di Enzo Argante

Manlio Scopigno, Generale di divisione esperto di geopolitica ed esperto militare è il nuovo editorialista di 000, che ci darà una chiave di lettura degli eventi internazionali. Conosciamolo da vicino anche per capire quali sono i punti di vista e il background del nostro editorialista, cominciando proprio dal raccontare la sua storia che inizia con la Brigata paracadutisti Folgore non moltissimi anni fa. 

Ho iniziato la mia carriera con la Brigata paracadutisti Folgore e ho svolto tutti gli incarichi di comando, dal più basso livello fino al Comandante di Reggimento, quindi passando tecnicamente per comandante di plotone, compagnia, battaglione e Reggimento. La Brigata paracadutisti nasce come corpo che sfrutta le operazioni di aviolancio in profondità per supportare la manovra delle altre forze di terra e, quindi, il nostro addestramento è stato non solo quello prettamente aviolancistico, ma finalizzato alle operazioni che iniziano una volta che si è infiltrati nell'area di operazione, lì bisogna condurre una manovra che è, appunto, una manovra rapida di infiltrazione e di supporto. In questo periodo ho sviluppato la mia formazione operativa con i paracadutisti. 

Dopo l'esperienza mitica, perché Folgore era un nome storico delle nostre Forze Armate, un altro nome importante: la Brigata Sassari Granatieri forse, vero? 

In realtà sono due Brigate differenti, anche se molto molto spesso si confondono. La Brigata Granatieri opera nel Lazio, a Roma, è stata nel passato principalmente impiegata per rappresentanze, poi è diventata molto più operativa e viene impiegata anche per operazioni all’estero. La Brigata Sassari, invece, ha sede in Sardegna ed ha origine, appunto, dalla costituzione di due reggimenti, 151 e 152, uno a Cagliari e l'altro a Sassari, nel 1915, quindi durante la Prima Guerra Mondiale. Fu costituita esclusivamente da sardi. Ecco questa è la caratteristica della Brigata Sassari, di essere a reclutamento prettamente regionale. È un'unità prestigiosa che si è fatta valere soprattutto durante la Prima Guerra Mondiale, meritando medaglie d'oro alle bandiere. L'esperienza di comandare una Brigata diversa dalla mia esperienza professionale di paracadutista è stata assolutamente positiva. In realtà, la Brigata Sassari è un'istituzione in Sardegna e quello che ho percepito è di essere parte integrante di una cultura che è specifica della Sardegna e di essere parte di questo mondo, che è un mondo un po' diverso da quello del continente, da cui provengo - ho fatto la mia carriera in Toscana - e quindi è stata un'esperienza notevole. Con la Brigata Sassari siamo andati in Afghanistan, dove ho assunto l'incarico di Comandante regionale West. L'Afghanistan a quel tempo era diviso in quattro comandi regionali più un comando della capitale. Uno dei quattro era a guida italiana e le brigate si alternavano in questa parte Ovest dell'Afghanistan. Sottolineo il fatto che la Brigata Sassari si è sempre distinta nelle operazioni e all'estero, soprattutto in Afghanistan. 

Cogliamo l'occasione prima di cambiare un po' argomento e ambiti per parlare delle Forze Armate, che sono state in un certo momento, a un certo punto della vita di questo Paese, lontane dal percepito collettivo, cioè un corpo un po' estraneo. Invece da qualche tempo c'è stato un forte riavvicinamento e c'è un sentimento anche popolare nei confronti dell'esercito, di accondiscendenza e di ammirazione. C'è un bel rapporto forse anche rispetto alle forze armate in altri paesi. Se la sente di accreditare questa versione? 

Sì, assolutamente. In realtà credo che ci siano stati differenti step istituzionali che hanno cambiato un po' il volto delle Forze Armate. Io sono entrato nella forza armata quando ancora c'era l'esercito di leva. È vero che i paracadutisti rappresentavano una realtà un po' specifica perché a quel tempo si entrava da paracadutisti solamente se si era volontari e si si superava appunto un iter addestrativo che era abbastanza impegnativo, ma detto questo, la costituzione di un esercito di leva impediva in qualche maniera la possibilità di avere un addestramento sempre più specialistico, che in realtà serviva man mano che si andava avanti con l'uso di tecnologie sempre nuove. Serviva investire su un addestramento professionale e, soprattutto, dal punto di vista normativo, era difficile portare persone di leva in teatri operativi di una certa intensità. L'eccezione era sempre rappresentata dalla Brigata Folgore perché col fatto che si etichettava il paracadutista come volontario, si presupponeva che il volontario lo era anche per andare nei teatri operativi. Ma questo ha creato un ostacolo e come lei ben sottolinea ha rappresentato il fatto che i militari venivano visti in maniera negativa, poi sono usciti i film, sono usciti libelli che parlavano appunto di questa vita che era fatta di caserma e basta e questo era un po' una cesura tra il mondo civile che andava avanti e il mondo militare che invece è arroccato in questa realtà completamente avulsa. L'esercito professionista ha cambiato le carte in tavola perché ha aperto alla possibilità di avere personale addestrato, specializzato e soprattutto disponibile per le operazioni all’estero. Diciamo che l'altro step fondamentale è stato quello di utilizzare la forza armata anche per l'ordine pubblico, avvicinando l'immagine del soldato a quello che dà supporto alle forze di polizia per garantire l’ordine pubblico. Ecco questa serie di step secondo me ha portato a un avvicinamento della forza armata nei confronti della popolazione.

Forse anche il ruolo della protezione civile ha dato sicuramente una spinta importante in questo senso, vero? 

Come no, certo. Accanto alla difesa della patria, la difesa delle istituzioni, c'è sempre stato il compito di concorrere anche alle pubbliche calamità, poi con l'aumento della professionalità questo è avvenuto in maniera sempre più incisiva. Io stesso ho partecipato con la Brigata Sassari a un evento calamitoso ad Olbia durante un’alluvione ed effettivamente mi sono accorto che molto era basato anche sulle procedure e sull'impatto che abbiamo avuto come organizzazione, almeno per i primi i primi interventi. Come le dicevo, probabilmente adesso stiamo attraversando una fase leggermente diversa, ovvero c’è la percezione che ci sia un conflitto simmetrico, quindi non più asimmetrico come fino a poco tempo fa, quando si trattava di andare essenzialmente in un teatro operativo per cercare di fare quello che, in termini tecnici, si chiama peace building, peace enforcing o peace keeping, tre terminologie che hanno delle sottili differenze. In ogni caso, si trattava di conflitti asimmetrici. Adesso la percezione che possa esistere in Europa la possibilità di avere un conflitto simmetrico, quindi con un nemico paritetico che ha le stesse capacità, la stessa forza dirompente di distruggere un esercito avversario, beh questo probabilmente cambia anche la percezione che si ha dello strumento militare, che dovrebbe essere adesso visto veramente come uno strumento per difendere la patria, più che garantire la sicurezza e l'ordine pubblico e concorrere con le forze di polizia, adesso si percepisce proprio come strumento per poter salvaguardare i confini della patria.

Lei poi acquisisce anche un ruolo di alto livello presso lo Stato Maggiore della Difesa e lo Stato maggiore dell'esercito. Quindi ancora un cambiamento della sua vita, anzi due forse perché tra Stato maggiore difesa e quello dell'esercito ci sono delle differenze. 

Sì, per chi non conosce la vita militare dico che per un ufficiale in carriera bisogna sempre alternare i periodi di comando, in cui si è comandanti di unità, con i periodi di staff, ovvero i periodi che vengono svolti all'interno degli Stati maggiori. Parlo al plurale perché gli stati maggiori sono tanti, nel senso che lo Stato maggiore in realtà nasce organicamente nell'esercito prussiano con un concetto che dice: ma comandanti possono prendere delle decisioni da soli basandosi solo sulle loro percezioni? Probabilmente no, hanno bisogno di uno staff, cioè hanno bisogno una serie di persone che analizzi il problema secondo differenti punti di vista e allora nascono gli stati maggiori che sono a diversi livelli, lo staff di un Reggimento, lo staff di una Brigata, lo staff di un corpo d'armata e addirittura lo staff delle forze armate. Quindi ogni forza armata ha il suo staff che consente al suo capo, che noi per una terminologia un po' scorretta, mi consenta, chiamiamo capo di stato maggiore dell'esercito, della Marina, dell'Aeronautica, ma in realtà lui è il comandante e ha un suo stato maggiore che ha un altro capo, che noi chiamiamo sottocapo, ma in realtà è il capo di questo staff, che consiglia il comandante e gli prepara gli studi per le sue decisioni. Quindi ritornando nel discorso, ogni forza armata ha il suo staff e il comandante di tutte le forze armate è il capo di stato maggiore della difesa, ma in realtà anche qui stiamo usando un termine non proprio, in altri eserciti si chiama Chief of Defense, cioè capo della difesa; il capo della difesa è il nostro Capo di Stato Maggiore della difesa, che ha a sua volta il suo staff. Ritornando alla sua domanda, io ho lavorato sia nello staff del capo di Stato Maggiore della Difesa, sia nello staff del capo di Stato maggiore dell'esercito. In particolare sono stato negli anni 2010-2011 a stretto contatto col capo di stato maggiore dell'esercito perché ero il suo capo ufficio. Diciamo che nell'ambito dello staff poi il Capo di Stato Maggiore ha un suo ufficio che gli fa un po' da filtro su tutto, su tutti gli studi che gli arrivano, quindi questo è stato un privilegio per me e ho vissuto quegli anni veramente capendo i meccanismi della forza armata. 

Poi ci sono gli anni in cui esce dall'ambito italiano e va in quello della NATO, che, come dire, è un momento di grandissima visibilità. Certo, non possiamo dire che sia un piacere perché la situazione è quella che è, però la NATO è diventata nel frattempo un’entità enorme, di grandissimo peso politico e militare. Lei se ne è occupato in Italia e in Grecia, ha rappresentato e ha navigato queste acque tempestose.

La NATO ha una struttura che comprende sia i comandi sia le forze. I comandi sono stabili e sono in differenti posizioni geografiche. Le forze che ha a disposizione sono i corpi d'armata, i comandi dei corpi d’armata. Ce ne sono attualmente 10-11. Insomma poi il numero fluttua molto a seconda delle disponibilità che danno le nazioni. In Italia ce n'è uno a Solbiate Olona, vicino Varese, dove io ho svolto l'incarico di sottocapo per le operazioni; in Grecia ce n'è un altro dove io ho fatto invece il sottocapo per i piani. Ora perché un italiano va a fare il sottocapo per i piani in Grecia? Perché in realtà sono comandi multinazionali, cioè diciamo che il framework, il telaio, è della nazione che offre il comando e, quindi, la maggior parte del corpo armato italiano è presente con personale italiano, però ci sono delle posizioni che vengono offerte anche a tutte le altre nazioni della NATO. Questa è stata l'opportunità per me, prima di andare a fare un mandato in Grecia per tre anni e per fare il sottocapo ai piani. Anche questa è stata un'esperienza notevole perché mi ha consentito di entrare dentro i meccanismi della NATO e di capire come si muove, come elabora le sue strategie, come risponde alle minacce che di volta in volta cambiano. La NATO dalla sua costituzione ad oggi ha avuto ben otto concetti strategici differenti e probabilmente c'è ancora da affinare il concetto strategico attuale sulla base delle ultime novità che sono successe nel mondo. Devo dire che insieme all'esperienza NATO ho avuto l'esperienza anche dell'Unione Europea perché ho fatto il capo di stato maggiore in una missione che si chiama ancora EUNAVFORMED, cioè il controllo navale europeo del Mediterraneo che via via ha avuto dei Task, cioè dei compiti, diversi, ma a quel tempo il principale ruolo era quello di contrastare il traffico di immigrazione clandestina in mare e lei mi chiederà sicuramente “Ma che ci fa un paracadutista in una missione navale addirittura a Capo di Stato Maggiore, quindi a supporto di un Ammiraglio?” perché quella missione nella sua interezza comprendeva anche una fase di controllo a terra del territorio per evitare che si imbarcassero delle persone clandestine e attraversassero il Mediterraneo. Questa seconda fase non è mai avvenuta poi, ma in realtà anche quella è stata una bellissima esperienza perché ho acquisito il linguaggio navale e le dinamiche della nostra Marina Militare che sono interessanti. All'esperienza dell'Unione Europea vorrei aggiungere anche l'esperienza dell'ONU, che è il terzo elemento che diciamo così completa un po' il background della professionalità militare, perché facendo la missione in Libano sotto egida dell’ONU come comandante di Battaglione, diciamo Battle Group (in realtà il Battle Group è un Reggimento quindi è una è una struttura abbastanza complessa) ho capito quali sono le dinamiche che regolano le operazioni in ambito ONU e questo mi dà un quadro abbastanza completo delle differenze che esistono tra ONU, Unione Europea e la NATO. Nelle mie esperienze all'estero sia come comandante sia come staff vorrei annoverare la Somalia nel ‘93, a quel tempo con l'esercito di leva, il Kosovo, la Macedonia, il Libano, l'Afghanistan come comandante regionale, come già detto.

Ci piacerebbe ma credo che lo farà lei nel corso dei suoi editoriali, quindi non le faccio la domanda che vedrebbero una risposta troppo lunga, la differenza tra l'essere stato europeo e l'essere NATO, che presuppone un groviglio dal punto di vista della comunicazione che andrebbe sciolto per evitare equivoci e strumentalizzazioni dell'opinione pubblica. Andiamo invece a quello che è probabilmente il punto di atterraggio di questa sua incredibile esperienza, che è il Centro studi dell'esercito, forse no? È lì che tutto quello che lei ha vissuto può essere molto utile. 

Sì diciamo che questo rappresenta un po' la sintesi delle esperienze professionali da mettere a disposizione della forza armata e del mondo universitario, del mondo degli studiosi. Il Centro Studi Esercito è un ente che raccoglie esperti di settore principalmente provenienti dal mondo universitario e dal mondo dell'esercito, che fa degli studi, la maggior parte commissionati dal capo di Stato maggiore dell'esercito, su argomenti di particolare rilevanza. Quando il capo di stato maggiore dell'esercito ha bisogno di uno studio asettico, di uno studio che comprende anche approfondimenti universitari su determinati argomenti, incarica il Centro di effettuare questo approfondimento. Ne abbiamo fatti tanti, ad esempio l'ultimo che abbiamo fatto è stato un seminario sull'applicazione dell'intelligenza artificiale in ambito guerra in Ucraina, mettendo in evidenza quali sono gli strumenti che sta utilizzando la Russia proprio sul campo dell'intelligenza artificiale in questa guerra. Tra l'altro gli interventi si trovano anche su internet, quindi sono aperti. Tutti gli argomenti che tratta il centro studi esercito sono argomenti tratti da fonti aperte, quindi non hanno nulla di riservato e anch'io nella collaborazione con voi tratterò sempre argomenti che non hanno mai carattere riservato, anche perché non potrei farlo, ma sono sempre tratti da fonti aperte. 

Lei collabora anche con università, scrive? 

Diciamo che poi con il passaparola sono stato contattato e mi sono offerto volentieri per fare un servizio di consulenza con l'università di Perugia, per esempio, per attività di “role playing” per addestrare gli studenti della facoltà di Scienze Politiche e Scienze Internazionali per aumentare le loro capacità di mediazione. Sto collaborando con una società che è una costola dell'università della Calabria, mi offro volentieri per qualsiasi consulenza nel mondo universitario. 

Si è fatto un'idea di quali sono i temi che vale la pena affrontare nei suoi editoriali in questo momento storico, economico? 

Io inizierei appunto parlando delle nuove tecnologie e di come abbiano un impatto sullo strumento militare terrestre. Dico terrestre perché sono dell'Esercito e benché abbia avuto esperienze navali e aeree, mi concentrerei sull'esercito perché è il mio settore. Sarà interessante scoprire come la forza armata guardi a queste nuove tecnologie sia in termini di difesa dagli attacchi derivanti dalle nuove tecnologie sia come poterle sfruttare per uno strumento militare sempre più efficiente.