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Algoritmi e preghiere

Una delle facce, tante facce, di Nuccio Bovalino, sociologo, docente, anche filosofo, ma soprattutto, in questo caso, scrittore. Il suo libro si chiama “Algoritmi e preghiere” e, nel momento in cui tutto il mondo sta scrivendo dell'intelligenza artificiale, lui ci propone una chiave di lettura molto importante, forse decisiva, legata ai valori. “Algoritmi e preghiere”, Nuccio Bovalino

di Enzo Argante

Che rapporto c'è tra il mondo mistico e la tecnologia? 

La tecnologia è mistica. C'è una bellissima frase di Marshall McLuhan, che ci ha lasciato in eredità aforismi apolitici, ma questa in particolare, che è poco conosciuta, recita così: la mistica è praticamente la conoscenza del futuro, quindi in questa frase si preannuncia come la tecnologia sia una sorta di cammino continuo dell'umanità verso uno sviluppo che, però, ha in sé qualcosa di profondamente arcaico, c'è una continuità. E il libro nasce proprio da una suggestione, un'immagine che mi ha creato una sorta di riflessione che io definisco un sommovimento interiore, perché mi è venuto in soccorso nella prescrittura del libro. Si tratta di questa scena di quando io adolescente, anzi ancora meno che adolescente, ero un ragazzino penso di 10 anni, vedo questa tromba d'aria sulle acque del mare che sembra appunto danzare su questo strato sulla superficie marittima, arrivano delle donne e iniziano a recitare delle preghiere per cercare di fermare questa tromba d'aria; addirittura con un coltello una mima il gesto come per frantumarla. Ecco, quando poi in questo tempo presente vedo riflettere sull'intelligenza artificiale, sulla capacità dell’intelligenza artificiale di salvarci, di cambiare le nostre vite in meglio, di trasformare la nostra esistenza in una sorta di futuro iper progressista e ottimista. Ecco, misembra che non ci sia chissà quale differenza fra una donna che cerca di intervenire attraverso una preghiera per cambiare lo stato delle cose, in quel caso salvare i propri mariti che erano in mare, e chi invece attraverso le tecnologie più sofisticate cerca di intervenire sul mondo. 

In che modo l'intelligenza artificiale aiuta l'uomo e la donna a riempire quel loro desiderio di senso? 

Questa è una domanda complessa semplicemente perché l'intelligenza artificiale non è nello specifico uno strumento che si presta a questo. L'intelligenza artificiale è semplicemente l'ennesimo strumento che l'uomo usa per dare senso alla propria esistenza. Infatti, il libro è una sorta di percorso, una carrellata, una corsa che comincia con gli dei e termina con l'intelligenza artificiale. Il tentativo è quello di mostrare come l'uomo utilizzasse gli dei per spiegarsi il mondo e per intervenire sul mondo. Pensate a chi all'improvviso si trovava coinvolto in una tempesta in mare, malediceva il colpevole, ossia il dio Nettuno o Poseidone, in relazione appunto al tipo di cultura di riferimento, ma allo stesso tempo allo stesso Nettuno e allo stesso Poseidone si chiedeva un intervento salvifico, quindi la divinità era sia la responsabile che la potenziale soluzione al pericolo, a ciò che non si conosceva, l'ignoto. Quindi, gli dei avevano questa funzione e non vi ricorda qualcosa? Pensiamo all'intelligenza artificiale che viene disegnata da alcuni come la next thing in grado di salvare l'umanità, di estirpare il lavoro che fa soffrire, di dare la vita eterna attraverso delle nuove scoperte grazie all’analisi di questa mole di dati immensi che l'intelligenza artificiale permette, ma allo stesso tempo da altri viene indicata come il male assoluto e la definitiva forma che andrà a determinare la scomparsa dell’uomo. 

I valori di riferimento, in particolare per i giovani, riusciranno a sopravvivere o saranno digitali dipendenti? 

Io credo che le dipendenze facciano parte dell'essere umano da sempre e io non sono un pessimista o perlomeno il mio pessimismo non è relativo o figlio della società digitale. Credo che ci sia nell'uomo l'urgenza di appartenere a qualcosa e io parlo nel libro, per esempio, di società schizomediatica, nel senso che quando Bowlby, il famosissimo psicologo che scrisse relativamente al tema del rapporto ambiguo fra la madre e figlio, ossia questo figlio che non capendo bene i sentimenti della madre, contrastanti nei suoi confronti, lo accarezza ma lo sgrida, lo abbandona ma poi lo coccola, parlando di un tipo che può diventare da grande tendente alla schizofrenia o comunque una personalità schizoide. Ecco, mi sembra che i media agiscano sull'uomo e soprattutto sui bambini e sugli adolescenti in questo modo, ossia creando una sorta di dipendenza e di ambiguità e i bambini e gli adolescenti postano sui social aspettando una conferma, un ritorno e quindi vivono questa tensione costante e pubblicando una foto, pubblicando un post fra momenti in cui viene riconosciuta una sorta di capacità performativa dagli altri, che quindi mettono like o scrivono sotto i tuoi post o dicono una foto bellissima, scrivono chissà quale altra frase, e i momenti invece in cui non ottengono i risultati che prevedevano e lì subentra l'ansia di non essere abbastanza bravi, di non essere abbastanza belli, di aver fatto un post sbagliato e quindi sono legati in questa sorta di altalena continua e dove i media hanno una funzione, che però è semplicemente una funzione che hanno avuto prima dei media altri strumenti, quindi non è colpa dei media, è una dipendenza in sé che ogni individuo ha e sono dipendenze che possono essere sane e dipendenze che possono essere invece poco sane. Questo è determinato, secondo me, più dalla figura umana e dallo strumento in sé che va a creare la dipendenza. 

Per chiudere un consiglio: come vivere il rapporto con i social? Come gestire queste relazioni pericolose? 

Io sono molto affascinato da alcune riflessioni di Byung-chul Han, credo che questo filosofo coreano ci possa servire per rompere alcuni schemi proprio perché la cultura a cui lui appartiene nell'intimo, quella orientale, forse gli fornisce qualche strumento in più, ma anche io da uomo del sud credo si possa anche partire da quella dimensione dionisiaca mediterranea di un vissuto che si rifà a un'esperienza meno complicata, meno burocratica, meno fredda, meno rigida, basata più sul contatto con il naturale, ma non è una sorta di ecologismo fittizio. Io parlo di una relazione anche con l'ancestrale che è qualcosa ancora presente. Io sono per esempio affascinato dalle figure degli eremiti, sto facendo anche una ricerca in questo senso perché sto indagando su cosa significa essere oggi un'eremita, perché oggi essere eremita può anche semplicemente voler dire scappare dai media, scappare dai social. Per uno studioso di comunicazione è un paradosso, però credo che proprio per capirli meglio bisogna a un certo punto riflettere con lo sguardo più lontano dagli stessi, cioè affiancarsi a coloro che dai media scappano, dai media si eliminano. Ecco, c'è una sorta di eremita post umano, non nel senso che si affida alla tecnologia e si ibrida alla tecnologia promettendosi una vita cyborg, parlo invece di un pensiero post umano, anche umanista dove per Umanesimo intendiamo l'uomo che vuole padroneggiare il mondo, ecco penso che abbandonarsi al mondo e recuperare un rapporto spirituale con il vissuto e con i luoghi, ecco questo potrebbe essere un modo di vivere i valori, è un modo di vivere i valori, che spesso sono qualcosa di intangibile, e io parlo invece di qualcosa di concreto, di un vissuto carnale che bisogna recuperare, ma non perché si sia virtualizzato, semplicemente perché anche coloro che non sono virtualizzati lo hanno perso perché si sono comunque persi negli schermi, ancor prima che perdersi nella rete, ma non è soltanto una questione mediatica. Questo è un luogo di rapporto con il mondo che bisogna appunto recuperare nei meandri, ci sono schegge di senso nascoste  appunto nel nell'impenetrabile che non riusciamo più a vedere.